Un portafoglio nel segno di Apple & Co.

Bastano 7.106 euro per comprare un'azione di ciascuno dei big del tech, da Amazon a Tesla, a Zoom. In un anno il valore è raddoppiato. Business favorito dai nuovi stili di vita. E l'esperienza degli split azionari, tipici del settore, dimostra che...

Altro che bolla. Nonostante la volata del 2020, le valutazioni delle Big Usa della tecnologia sono tutt'altro che «tirate» e ben lontane dai multipli della bolla del 2020. E gli esperti del settore continuano a vedere un futuro in crescendo, favorito anche dalle recenti operazioni straordinarie sul capitale (gli split di Apple e Tesla). Perché allora non «azzardare» una scommessa e provare a costruirsi un portafoglio selezionato di titoli acquistando i sola azione di ognuno? Un basket composto dai FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), con l'aggiunta di Tesla e Zoom, comporterebbe ai prezzi attuali di Borsa un investimento di 7.106,51 euro. Alla fine dello scorso anno, lo stesso portafoglio sarebbe costato 4.605,61 euro, per un valore attuale (senza considerare gli split) di 9.209,19 euro. Il rendimento sarebbe stato del 101,71% in otto mesi. Ora, è vero che le performance passate non offrono nessuna garanzia per il futuro ma, considerando la nuova normalità ai tempi del coronavirus, i tassi di interesse praticamente a zero, i bassi rendimenti dei titoli di Stato e il driver degli split, lo scenario del settore resta promettente. Divisione Il 31 agosto, Apple e Tesla hanno «splittato» le azioni (lo split è un'operazione di frazionamento del capitale sociale che si traduce in un aumento del numero di azioni e in una diminuzione del loro valore), con un rapporto di concambio rispettivamente di 4 a 1 e 5 a 1 (chi possedeva i azione Apple ne ha ricevute 4, mentre chi deteneva i azione Tesla ne ha ricevute 5). Di fatto, lo split non comporta alcuna alterazione nella capitalizzazione di Borsa e la di Gabriele Petrucciani to investitore il valore del portafoglio non cambia. Da un punto di vista tecnico e pratico, però, con un «drastico» taglio del prezzo delle azioni aumenta la potenziale platea di investitori e proprio per questo una società in buona salute vedrà crescere il suo valore in Borsa. Come tra l'altro evidenziato da un'analisi condotta da eToro su 60 anni di dati, secondo cui le azioni dei brand più grandi sono cresciute a una media del 33% l'anno. Guardando alle operazioni più recenti, mentre per Tesla si tratta del primo split, Apple aveva già frazionato le azioni quattro volte e il loro valore è cresciuto in media del 10,4% durante l'anno successivo (a febbraio 2005 e giugno 2014, sono salite del 58,2% e 36,4%, mentre a giugno del 2020 sono crollate del 61% per effetto della bolla). «Tesla e Apple sono due delle migliori aziende del mercato Usa e tutte le evidenze suggeriscono che gli split porteranno vento in poppa al valore delle azioni — commenta Adam Vettese, analista di eToro —. Questo perché i piccoli risparmiatori sono sempre più attivi e la possibilità di investire in due aziende così popolari a prezzi più competitivi è troppo allettante per poter essere ignorata». II futuro Da un punto di vista fondamentale le valutazioni delle Big Usa della tecnologia sono elevate, ma non così tanto da far gridare alla bolla. «Se guardiamo al Morgan Stanley Tech World — spiega Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr — , la tecnologia tratta a 1,3 volte il p/e del mercato complessivo. Un valore che è sì più caro rispetto all'indice Msci World, me ben lontano dai valori del 2020, quando il multiplo relativo trattava a 2,2. Inoltre, il premio per il rischio di un mercato azionario dipende sì dal multiplo, ma anche dalle alternative cosiddette free risk. E oggi con tassi a zero, l'attrattività del settore, in termini di valutazioni, è accettabile. Tralasciando per un momento i FAANG e guardando invece ai FAAMG (con Microsoft al posto di Netflix), complessivamente capitalizzano 9 trilioni di dollari, circa il 25% di tutto il mercato azionario Usa e più di tutti i mercati europei messi insieme». È chiaro che in una logica di lungo termine non si può escludere che prima o poi siano i regolatori a intervenire a difesa dei consumatori, alla luce delle quote di mercato semi-monopolistiche, ma «se la domanda è se pensiamo che da qui a 3 anni la tecnologia possa ancora performare positivamente in termini assoluti, allora la mia risposta è ragionevolmente sì», puntualizza Franco. Certo, la sovraperformance rispetto al resto del mercato non durerà in eterno, ma questo non vuol dire che il comparto sia destinato a «perdere» quando arriverà una rotazione settoriale. «La verità è che con la pandemia, il mondo (che già stava cambiando) è cambiato più velocemente — spiega Enrico Vaccari, responsabile clientela istituzionale di Consultinvest —. In cinque mesi è successo quello che sarebbe dovuto succedere in io anni. Titoli come Zoom, che erano poco considerati dal mercato, ora sono entrati nell'attenzione degli investitori. E al di là delle fiammate di breve, scommettere oggi sul digitale può rivelarsi una scelta vincente nel lungo periodo», conclude Vaccari. Con l'accortezza di seguire sempre la regola aurea di ogni investitore: diversificare.

Articolo di Gabriele Patrucciani, L'Economia del Corriere della Sera, 7 settembre 2020