“Per le strategie illiquide servono le competenze necessarie” 

Il manager sostiene che il rischio di liquidità deve essere assunto in maniera consapevole da parte degli investitori, attraverso una giusta correlazione tra remunerazione attesa e liquidabilità

Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr, ragiona con FocusRisparmio sulla (buona) tenuta del sistema dei fondi comuni aperti in risposta alla turbolenta discesa dei mercati di febbraio-marzo, in piena crisi da coronavirus.

Le lezioni da trarre da questo episodio sono molte, sostiene il manager, a cominciare dalla più banale: “Scelte repentine prese in condizioni di incertezza e di bassa visibilità possono portare, attraverso premature dismissione di investimenti, in perdita danneggiando in modo permanente la disponibilità patrimoniale. Ecco perché da questa crisi emerge tutto il valore aggiunto della gestione professionale del risparmio e dal beneficio della diversificazione che, attraverso l’investimento in fondi comuni, possono essere ottenute in modo poco costoso, efficiente e trasparente”.

Mediobanca Sgr come ha affrontato il periodo turbolento di fine febbraio e inizio marzo?

In quei due mesi la nostra Sgr ha dimostrato resilienza con deflussi decisamente contenuti e senza una concentrazione di riscatti rilevante in particolari settimane. Qualche movimento più accentuato è stato registrato sulle gestioni patrimoniali (canali istituzionali), per dinamiche specifiche dei clienti e concentrato temporalmente, con alleggerimenti delle posizioni a fine febbraio, metà marzo e durante alcuni giorni di aprile. A partire dall’insorgere dell’emergenza con conseguente incremento della volatilità dei mercati abbiamo intensificato la comunicazione con le reti del gruppo, per metterle nelle migliori condizioni di interagire in modo informato e chiaro con i clienti: un buon processo comunicativo che ha contribuito a contenere le reazioni impulsive dei risparmiatori.

Secondo le statistiche di Bank of America i fondi che hanno sofferto i maggiori riscatti sono quelli di diritto lussemburghese. Come spiegate la tendenza?

In Italia, una quota prevalente degli asset in gestione in Oicr distribuiti da reti domestiche è rappresentata da prodotti di diritto lussemburghese. Questo contribuisce, in generale, a spiegare la maggior rilevanza di riscatti in quest’ambito. I prodotti in questione offrono, inoltre, la possibilità di implementare strategie più difficilmente percorribili dagli operatori Italiani poiché vincolate da una più restrittiva interpretazione normativa: questo si traduce in una maggior incidenza – sul fronte lussemburghese rispetto al panorama domestico – di fondi sofisticati absolute return (in particolare a VaR), che hanno particolarmente sofferto l’esplosione di volatilità e correlazioni di fine febbraio e marzo.

Quale categoria di fondi ha sofferto le maggiori richieste di riscatto e perché?

In generale, i prodotti che hanno sperimentato più riscatti sono quelli a maggiore contenuto azionario, più impattati dalla fase negativa e più liquidi. I prodotti obbligazionari corporate con percentuali anche importanti di high yield, pur impattati negativamente dai movimenti di mercato, sono stati oggetto di redemption in misura relativamente ridotta rispetto ad altre fasi storiche di sofferenza per questa asset class. Questo è ragionevolmente dipeso, almeno in parte, dalla rilevante incidenza di fondi “target maturity” di natura obbligazionaria, correttamente collocati ponendo enfasi sull’elemento temporale pluriennale a scadenza come tema rilevante ai fini valutativi. Tali prodotti prevedono, inoltre, meccanismi commissionali volti a disincentivare i riscatti in fasi intermedie, dissuadendo così dalla vendita durante i “drawdown”, che porterebbe a una realizzazione delle minusvalenze “mark to market” e a una perdita permanente di capitale per i clienti.

Il sistema dei fondi aperti, a suo modo di vedere, ha retto bene le richieste di riscatto?

Nella nostra realtà specifica non abbiamo registrato criticità. Da un recente confronto con i risk manager di altre società abbiamo raccolto l’evidenza aneddotica che, durante il periodo di massima intensità dello shock sui mercati, i riscatti ricevuti non siano stati comunque tali da mettere in difficoltà i prodotti per la necessità di liquidare forzatamente posizioni difficili da vendere durante il “crash”. Questo potrebbe dipendere dalla percezione corretta che la crisi attuale sia sostanzialmente diversa rispetto alle precedenti, ad esempio quella del 2008, originata ed amplificata da eccessi finanziari. Non è possibile escludere che nei prossimi mesi vi sia una ben più marcata accelerazione dei deflussi legata alla eventuale necessità finanziarie personali causate dalla recessione e da un auspicabile recupero dei mercati associato al superamento dell’emergenza sanitaria e macroeconomica.

Ritiene che quanto sopra possa favorire una maggior diffusione di fondi di tipo chiuso anche fra il pubblico retail?

Il rischio di liquidità deve essere assunto in maniera consapevole da parte degli investitori, attraverso una giusta correlazione tra remunerazione attesa degli investimenti e relativa liquidabilità. In generale, pensiamo che possa esistere tale opportunità ma che, per essere colta, essa richieda a gestori e reti distributive di dotarsi delle competenze necessarie per collocare e gestire strategie illiquide.

I regolatori nazionali si stanno muovendo per aumentare i presidi a controllo della liquidità dei fondi aperti. Siete a conoscenza di provvedimenti che vadano in tal senso da parte delle autorità italiane?

Il presidio sulla liquidità è un elemento presente già nell’ultima direttiva UCITS IV, che ora viene rafforzato con requisiti specifici sul processo di stress testing sulla liquidità dei prodotti secondo le linee guida di Esma (che riunisce le autorità che supervisionano i mercati a livello dell’Unione. Da questo punto di vista, sembra chiara l’esigenza congiunta da parte delle autorità di vigilanza europee, di garantire un corretto presidio della liquidabilità dei prodotti anche e soprattutto in previsione di scenari di possibile stress. Si inquadra in questo senso anche l’azione recente di Banca d’Italia, sempre coordinata a livello dell’Unione, di un approfondita survey sugli aspetti di gestione del rischio di liquidità, che mi aspetto possano poi tradursi in ulteriori indicazioni per i processi di gestione di questi rischi. Non abbiamo evidenze di richieste specifiche da parte delle autorità nazionali, che non siano riconducibili alle azioni comuni europee, come sembra opportuno anche in un’ottica di “level playing field”.

Perché su questo tema è fondamentale anche il presidio della banca depositaria?

Il ruolo delle banche depositarie, richiamato anche dalle nuove linee guida, sarà centrale nel verificare l’adeguatezza delle procedure di controllo del rischio di liquidità della società di gestione. Le depositarie hanno la necessità e anche l’occasione di estendere le proprie competenze per rendere efficace tale ruolo, che altrimenti rischia di assumere un aspetto meramente formale.

Quali lezioni si possono trarre dalla reazione del mercato allo shock coronavirus?

Le lezioni da tenere a mente – non sorprendenti – ma spesso dimenticate dai risparmiatori, sono rappresentate dal valore della gestione professionale del risparmio e dal beneficio della diversificazione che, attraverso l’investimento in fondi comuni, possono essere ottenute in modo poco costoso, efficiente e trasparente. La volatilità degli ultimi due mesi, con la rapida discesa iniziale e il successivo tumultuoso recupero, almeno parziale, dei mercati mostrano quanto scelte repentine prese in condizioni di incertezza e di bassa visibilità possano portare, attraverso premature dismissione di investimenti, in perdita danneggiando in modo permanente la disponibilità patrimoniale. Per ultimo, nel mondo della finanza non dobbiamo mai dimenticare il vecchio adagio: “Don’t fight the Fed”: in un contesto di shock così unico nel suo genere come quello attuale – non causato da eccessi o da speculazione ma da un oscuro ed ancestrale “nemico”, l’epidemia – abbiamo assistito a interventi da parte dei “policymakers” senza precedenti, per intensità e velocità di attuazione.

Intervista a cura di Alessio Trappolini, FocusRisparmio, 18 giugno 2020