L'ora di scegliere
Prima il ritorno dell'inflazione, poi la guerra di Putin Il ritorno dell'incertezza, dopo anni di crescita, impone la necessità di selezionare i titoli su cui puntare. Come si faceva un tempo, prima del boom degli Etf
Nei dieci anni passati l'indice SeP 500, il più rappresentativo di Wall Street, ha quasi quadruplicato il proprio valore, spostando continuamente verso l'alto i suoi record. L'ultimo risale al 3 gennaio. Non tutte le Borse hanno retto questi ritmi ma non c'è dubbio che il decennio scorso per chi gestisce risparmi e investimenti è stato un periodo molto facile e, allo stesso tempo, molto difficile. Facile perché bastava puntare sui mercati trainanti per guadagnare, difficile perché far meglio degli indici era arduo. Dal 3 gennaio alcune star borsistiche di Wall Street sono crollate e l'indice SeP 500 ha perso il 10 per cento. Il quadro ora è cambiato: ancor più con il trauma della guerra in Ucraina, non ci si può limitare a seguire il vento, è il momento di scegliere una rotta. Gli elementi che rendono incerto il futuro prossimo sono sotto gli occhi di tutti. Prima è partita l'inflazione, con le conseguenti attese di una stretta monetaria, proprio mentre la crescita di molte economie andava rallentando. Già questo sarebbe sufficiente per mettere in crisi gli assiomi su cui si muovono i risparmi, come l'abitudine ormai consolidata di investire il 60 per cento del proprio denaro in azioni e il 40 per cento in obbligazioni, seguendo la logica che quando le prime salgono i prezzi delle seconde scendono, e viceversa. Poi Putin ha invaso l'Ucraina, riportando la guerra in Europa con tutti gli incubi che comporta, umani, civili e anche economici. Il cinismo dei numeri dice che la Russia pesa soltanto per il 2 per cento del Pil mondiale e l'Ucraina per lo 0,2 ma, con ogni evidenza, le ripercussioni della tragedia sono destinate a produrre cambiamenti duraturi. Lo scossone che tutti questi fattori stanno dando al risparmio lo si pub intuire guardando i dati elaborati da Morningstar sulle performance dei fondi che investono in società a larga capitalizzazione, in Europa e negli Stati Uniti. I dati riguardano i 10 che hanno ottenuto le performance migliori nei primi due mesi del 2022, suddivisi in tre categorie a seconda del focus sulle imprese a elevata crescita (growth), su quelle più legate al ciclo economico (value) e senza distinzioni fra le due. Ebbene, in un periodo di aspettative via via più fosche, i fondi gestiti in maniera attiva occupano 49 delle 60 migliori posizioni, lasciandone solo 11 agli Etf, che replicano gli indici e negli ultimi anni hanno avuto un enorme successo. Morningstar, società di ricerca internazionale sugli investimenti, osserva che un periodo di analisi così breve non è indicativo per trarre conclusioni e che se si guardano i dati a tre, cinque e dieci anni, i gestori capaci di battere gli indici sono in larga minoranza. Resta il fatto che l'incertezza del contesto e le differenze rispetto all'ultimo decennio d'oro - contrassegnato da livelli d'inflazione minimali - danno ai gestori attivi un'occasione di riscatto. Tutto parte, per l'appunto, dal venir meno della relazione negativa (uno sale, l'altro scende) tra azioni e obbligazioni che vale nei periodi di bassa inflazione. Rony Hamaui, banchiere di lungo corso e professore al dipartimento di Economia della Cattolica, fa l'esempio dei titoli di Stato americani decennali, che rendono meno del 2 per cento: a fronte di un'inflazione che corre al ritmo del 7,5, i rendimenti reali sono largamente negativi. «Si tratta di una situazione eccezionale, che spinge verso l'alto i tassi d'interesse, con questi ultimi che riducono la redditività delle aziende e di conseguenza le quotazioni azionarie». Questo spiega, continua Hamaui, il ritorno d'interesse per i titoli value, rispetto ai tecnologici e in generale ai growth, solitamente più indebitati e quindi più sensibili al rialzo dei tassi. «A dare le maggiori soddisfazioni saranno le aziende che riusciranno a traslare sui prezzi i maggiori costi di produzione, difendendo i loro margini», dice l'economista, sottolineando che per i gestori sarà determinante la capacità di individuare i titoli più resistenti. Lo stock-picking, come si dice in inglese, sembra essere una strada più o meno obbligata. Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr, dice che nello scenario attuale i gestori devono tornare ai fondamentali e che occorre «analizzare i bilanci delle singole aziende e stimarne le prospettive di crescita, senza lasciarsi condizionare eccessivamente dal timore diffuso sui mercati». Franco ricorda che in occasione di conflitti passati le Borse hanno subito una correzione durata mediamente le prime tre settimane, per poi ritrovare performance positiveasei mesi oppure aun anno. «Nel medio termine contano soprattutto i fondamentali», afferma. La portata del conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina, però, non sarà facile da digerire per le conseguenze che avrà sulla fiducia degli investitori, sui prezzi delle materie prime e sul rischio di uno shock energetico: «Nelle prossime settimane andranno monitorati i prezzi di gas e petrolio: se resteranno elevati a lungo, la crescita economica dei Paesi importatori come Italia e Germania sarà impattata negativamente», dice Franco, che invita però a considerare la frenata «nella prospettiva di uno sviluppo tendenziale pre-shock al di sopra de14%, un cuscinetto di tutto rispetto». I dati di raccolta degli Etf dicono che già all'inizio di questo 2022 i risparmiatori avevano colto la strada senza uscita delle obbligazioni, gli strumenti che in un contesto più standard avrebbero dovuto offrire garanzie. A gennaio, segnala un rapporto di BlackRock, la raccolta globale dei fondi passivi era scesa a 70,9 miliardi di dollari, meno della metà rispetto a dicembre 2021, quando era stato raggiunto un livello record di 150,6 miliardi. II calo era dovuto soprattutto al venir meno dell'appeal da parte dell'obbligazionario nella prospettiva di un rialzo dei tassi, al punto che i flussi dei nuovi investimenti si erano concentrati per il 93,5 per cento sugli azionari. I fondi passivi, comunque, sono reduci da anni di crescente successo e non è detto che un periodo così turbolento li metterà in difficoltà, visto che sono ormai molto diversificati. Pure qui, però, il punto è la necessità di scegliere. Michele Morra, portfolio manager della società di gestione Moneyfarm, segnala che «anche la scelta di un Etf, prodotto passivo per eccellenza, richiede un processo attivo». Le direttrici da seguire, per Morra, sono tre: «Focus sugli obiettivi di medio termine e sulle dinamiche macro; adattamento agli andamenti di breve e attenzione alla gestione dei rischi non necessari; mantenimento dei portafogli entro i parametri di rischio-rendimento previsti dal mandato di gestione sottoscritto dal cliente». In questo difficile 2022 ci sarà anche un altro fattore da verificare. Morningstar elabora ogni sei mesi un barometro dove calcola quanti gestori attivi sono riusciti a fare meglio del riferimento scelto per i loro fondi. Nell'edizione con i dati a giugno 2021, nell'azionario i gestori attivi capaci di battere - nei precedenti dodici mesi - il riferimento erano stati poco sotto il 50 per cento. Con i dati al 31 dicembre 2021 erano scesi poco sopra il 40 per cento. Non è forse un caso, considerando che a fine 2021 molte Borse erano a livelli record, una situazione molto diversa da quella attuale. Un altro dato a favore della necessità di scelta viene dalle graduatorie dei fondi che puntano sui singoli Paesi. In questo caso i tassi di successo sono più elevati: in Italia, nel 2021, ce l'avevano fatta il 63,5 per cento dei gestori, più abili a individuare le società medio-piccole di talento. Una piccola consolazione, in tempi bui.
Articolo di Luigi Dell'Olio e Luca Piana, la Repubblica Affari&Finanza, 07 marzo 2022