PAESI EMERGENTI: INSEGUIRE LA CRESCITA CON 4 SCOMMESSE A BASSO RISCHIO

Nei prossimi sei mesi i mercati delle nuove economie, che fino ad oggi sono cresciute meno di Usa ed Europa, potrebbero agganciare la ripresa post pandemia a cominciare dalla Cina e dai suoi satelliti Borse o emissioni in valuta, ecco le idee per investire con i fondi specializzati, tenendo a bada la volatilità.

Sarà l'anno della Cina. A gennaio, le grandi banche d'affari e molte case d'investimento intonavano in coro quasi unanime questa previsione. Al giro di boa di metà anno, però, la performance del Dragone appare deludente. Il 2% consegnato nei primi sei mesi ha penalizzato l'intero paniere dei mercati emergenti — la Cina vale da sola il 40% — zavorrando l'indice di riferimento delle economie meno sviluppate: +7%, ben al di sotto delle Borse dei Paesi avanzati, che registrano il 12,5%, con l'Europa a più 15%. La seconda parte dell'anno, però, potrebbe consegnare uno scenario ribaltato. Gli esperti suggeriscono di privilegiare le azioni di classe A: titoli di aziende della Cina continentale quotante a Shanghai e Shenzhen e denominate in renminbi. È una delle quattro idee che L'Economia del Corriere ha messo sotto la lente, con l'aiuto di alcuni esperti, per gli investitori che guardano con attenzione crescente ai mercati emergenti, favoriti dall'accelerazione della ripresa nel Sud del mondo. I bond, le small cap e le nuove frontiere dei mercati in via di sviluppo completano il quadro (vedi box nella pagina a fianco). Tutto parte, in ogni caso, dalla Cina. Da una parte, si tratta di un mercato II Dragone è salito solo dei 2% da gennaio, l'indice Emerging del 7%, i Paesi avanzati del 12,5% e l'Europa del 15% sovraccarico di tecnologia, settore penalizzato di recente dalla rotazione dei portafogli a favore dei titoli ciclici e a sconto. Dall'altra, potrebbe beneficiare del quadro di politica economica in evoluzione. Pechino, infatti, ha già provveduto a ridurre gli stimoli messi in campo per lenire le ferite della pandemia. «Adesso ci aspettiamo che le autorità comincino ad allentare i freni e a toccare di nuovo delicatamente l'acceleratore, il che porterebbe a una certa normalizzazione», osserva Nick Payne, cohead of strategy, global emerging markets di Jupiter am. Del resto, il mercato azionario cinese è ancora poco affollato. «Riteniamo che sia attraente dal punto di vista valutativo, avendo per altro già scontato il deleveraging (la riduzione della leva finanziaria ndr) e l'atteggiamento più severo dei regolatori, decisi a ridimensionare lo strapotere di alcune big tech locali», osserva Emilio Franco, ad di Mediobanca sgr. L'interesse, precisa il manager, vale anche per le obbligazioni cinesi, che rendono oltre il 3% sulle scadenze a 10 anni, il doppio del titolo del Tesoro Usa di pari durata. E a fronte di una divisa locale, il renminbi, che dovrebbe restare almeno stabile. Ia Cina però suona una partitura diversa da quella degli altri emergenti. Prima di tutto perché è uscita dalla crisi molto in anticipo rispetto ad altri Paesi, alcuni dei quali sono ancora impantanati nell'ultima ondata di contagi. Risultato: ciò che nel mondo emergente non è Cina rimane in bilico tra due forze contrastanti. «Da un lato, le economie in via di sviluppo sono favorite, perché adesso toccherà a loro agganciare la ripresa, dopo Cina, Usa ed Europa, di pari passo con il progresso della campagna vaccinale», ricorda Franco. «Salvo sorprese, il divario di crescita tra mondo sviluppato ed emergente dovrebbe tornare ad allargarsi a vantaggio di quest'ultimo e tale fattorechiave è capace di influenzare i flussi di capitale», premette Franco. Dall'altro lato, la correzione di rotta annunciata dalla Federal Reserve di Jerome Powell a metà giugno ha colto di sorpresa anche molti grandi investitori. La volontà di essere meno indulgenti nei confronti dell'inflazione, da qui in avanti, ha rievocato in molti lo spettro del taper tantrum: nel 2013, Ben Bernanke, alla guida della Fed, annunciò a sorpresa l'inizio della riduzione dello stimolo monetario, innescando un aumento della volatilità e un sollevamento dei tassi, con conseguenze così negative sui mercati da costringerlo poi a una clamorosa retromarcia. «Quello sarebbe uno scenario negativo per i mercati emergenti, perché alimenta un circolo vizioso fatto di restringimento delle condizioni finanziarie, deflussi di capitale, debolezza delle valute, delle borse e dei bond emergenti», avverte Franco. Quale tra queste spinte contrarie tenderà a prevalere? «Difficile da dire. Se guardiamo nel complesso agli attivi dei Paesi emergenti, tra azioni, bond e valute, credo che alla fine performance negative e positive si bilanceranno, a livello aggregato. Però assisteremo a un'ampia dispersione dei risultati, in base alla resilienza delle singole economie, ai progressi delle campagne vaccinali e alla misura in cui i mercati obbligazionari scontano già la ritirata delle autorità monetaria — osserva il ceo di Mediobanca sgr —. Paesi come Russia, Messico e Brasile prezzano già un rapido ritorno alla normalità pre-pandemica, in termini di tassi. Hanno rendimenti attraenti sui titoli in divisa locale. Dovrebbero essere supportati anche dalla ripresa delle quotazioni petrolifere e rivelarsi più resilienti». Sull'azionario, Shanghai potrebbe essere la scommessa vincente. Bloomberg ha alzato le sue previsioni del Pil al 9,3% per il 2021, oltre un punto in più rispetto alla proiezione di novembre. Chissà che non sia davvero, di nuovo, l'anno della Cina. Nel firmamento delle small cap dei Paesi emergenti si trovano molte stelle nascenti, nomi sconosciuti che presto o tardi potrebbero fare il grande salto e diventare colossi. Oggi sono ancora molto volatili, piccole e scattanti: l'indice delle società a bassa capitalizzazione dei mercati in via di sviluppo ha guadagnato 11 17% nel 2021 e il 71% a 12 mesi, catturando un extra-rendimento di, rispettivamente, io e 20 punti percentuali rispetto al paniere delle large cap. «II perimetro delle small cap è molto più diversificato sotto il profilo geografico: basti pensare che la Cina vale solo il 10%, contro il 40% dell'Msci emerging markets. Taiwan, Corea e India sono molto meglio rappresentate», osserva Giovanni Buffa, portfolio manager di Acomea sgr. Un ragionamento analogo vale per la composizione settoriale: nelle small cap pesa molto di più il settore industriale, meno la finanza. «E anche la tecnologia ha caratteristii che differenti: qui si trovano soprattutto nomi del comparto hardware, della componentistica, non è il classico mondo dell'ecommerce», precisa il gestore. Le small e mid cap dei mercati emergenti hanno cavalcato meglio la rotazione dei portafogli a favore dei titoli più ciclici e a buon mercato. «Rimane spazio per una sovraperformance ulteriore — dice Buffa —. Molte economie emergenti stanno ripartendo e accelerando. Questo dovrebbe portare maggiori benefici ai titoli più piccoli. Essendo meno coperti dagli analisti, poi, non c'è il rischio di un sovraffollamento degli investitori». Le nuove frontiere dei Paesi emergenti sono meno battute, ma anche più intriganti in ottica di lungo termine. Potrebbero essere favorite anche dal punto di vista tattico, perché «tendenzialmente meno vulnerabili ai cambi di rotta della politica monetaria globale — osserva Antonio Sbocchi, gestore del fondo Eurizon fund equity emerging markets new frontiers —. Merito di una maggiore esposizione all'economia domestica». E anche di una presenza ancora modesta di operatori internazionali, più propensi a dileguarsi rapidamente se il contesto all'improvviso peggiora. Basti pensare che gli investitori locali rappresentano l'85% del totale in Marocco (secondo mercato più rappresentato nel paniere di frontiera), il 79% in Nigeria, il 40% in Kenya. Ogni Paese, tuttavia, fa storia a sé. Il Vietnam, ad esempio, un mercato che vale da solo il 30% dell'indice dei mercati di frontiera, appare più solido, insieme a Bangladesh, Slovenia, Lituania ed Estonia, precisa Sbocchi. «Hanoi appare tra i favoriti per una promozione all'universo dei mercati emergenti, come accaduto al Kuwait lo scorso anno. Dipenderà dalla maggiore o minore capacità del mercato vietnamita di aprirsi agli investitori internazionali. Una decisione di questo tipo da parte di Msci innescherebbe importanti flussi di capitale in entrata». Sul versante opposto, rileva il gestore, Tunisia, Sri Lanka e Bahrein potrebbero soffrire, penalizzati da una maggiore vulnerabilità con l'estero e tassi reali non abbastanza elevati da contenere potenziali deflussi». E' solo questione di tempo. Le azioni di classe A, titoli della Cina continentale, quotati a Shanghai o Shenzhen e denominati in renminbi, più esposti alle dinamiche dell'economia domestica, sono destinati a crescere nei portafogli degli investitori internazionali. Oggi valgono solo i14,7% dell'indice Msci emerging market, su un peso totale della Cina attorno al 40%, in larga parte rappresentato da azioni H: società cinesi quotate a Hong Kong e denominate in dollari locali. «Solo 1120% delle A share sono state incluse negli indici Msci: se si arrivasse al l00%, la Cina arriverebbe a rappresentare il 47% dei mercati emergenti, per il 19% sotto forma di azioni A», calcola Carlo De Luca, head of asset management di Gamma cm. «Sarà, in ogni caso, un percorso graduale. Guidato dall'incremento della spesa in conto capitale in infrastrutture e dai consumi interni, sostenuti dalla Cina: il paese mira all'autosufficienza economica supportata da maggiori investimenti. A beneficiarne saranno dapprima il turismo domestico, l'energia solare, i semiconduttori, l'automazione industriale, le energie rinnovabili e i veicoli elettrici», precisa il gestore. Negli ultimi 12 mesi, le azioni A hanno sovraperformato in modo importante l'Msci China, dominato dai tre giganti Tencent, Alibaba e Meituan, che valgono da soli un terzo dell'indice. Merito di una maggiore diversificazione settoriale. «Le azioni A restano favorite anche dal punto di vista tattico per la seconda metà dell'anno. Tuttavia, le persistenti tensioni tra Usa e Cina potrebbero indebolire la fiducia nelle azioni cinesi». Non ci sarà un nuovo taper tantrum». Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki è convinto che questa volta le autorità monetarie accompagneranno la normalizzazione della politica monetaria senza strappi, scongiurando le reazioni un po' scomposte osservate nel 2013, quando Ben Bernanke annunciò a sorpresa l'inizio della normalizzazione della politica monetaria, creando scompiglio tra gli investitori. «Il rialzo dei tassi o la riduzione degli stimoli da parte della Federal Reserve dovrebbero avere un impatto meno rilevante. Comunque l'effetto è negativo per le obbligazioni dei Paesi emergenti», ricorda Calef, sia per le emissioni in dollari che per quelle in valuta locale». Secondo l'esperto, in una prospettiva di lungo termine, può comunque essere utile trovare uno spazio nel portafoglio titoli in valuta forte glio per questa componente del reddito fisso, privilegiando le economie che, presto o tardi, usciranno dal perimetro dei Paesi emergenti: India e Indonesia, ricorda Calef, offrono rendimenti vicini al 5% in valuta forte. I governativi cinesi in renminbi danno il 3% sia a cinque che a dieci anni. In termini generali, argomenta l'esperto, gli investitori al dettaglio farebbero bene, però, a focalizzarsi sul debito in valuta forte, limitando l'esposizione al 3-7% del portafoglio, attraverso strumenti di risparmio gestito, in grado diversificare su più emittenti. «I titoli in divisa locale, sono più complicati da gestire perché introducono un ulteriore fattori di rischio, quello valutario, che può amplificare la volatilità di questo attivo»

Articolo di Pieremilio Gadda, L'Economia del Corriere della Sera, 5 Luglio 2021