Torna l'inflazione? Metti il casco ai risparmi

Con il successo americano della campagna vaccinale, si è acceso il dibattito sul rischio di una risalita di tassi e prezzi al consumo. Non tutti gli esperti sono d'accordo, ma la prudenza è d'obbligo. Dai listini al reddito fisso, dalle nuove commodity alle monete, ecco come mettersi al riparo e guadagnare.

C'è chi agita lo spettro dell'iperinflazione, come Michael Burry, il famoso hedge fund manager interpretato da Christian Bale nel film The Big Short, arrivato persino a evocare la rovinosa Repubblica di Weimar degli anni Venti del Novecento. E sarebbe un disastro per i bond (ma non solo). C'è, invece, chi liquida la paura di una spirale dei prezzi come un head fake, una pista sbagliata: l'ha detto al Financial Times Dan Ivascyn, capo degli investimenti di Pimco, il più grande gestore obbligazionario al mondo. La verità probabilmente sta nel mezzo: evitando inutili allarmismi, occorre prendere atto che le coordinate dei mercati finanziari, in riferimento all'inflazione, sono cambiate. Almeno negli Stati Uniti. Non significa dover rinunciare a un giro sui mercati finanziari. Ma che bisogna indossare il casco, è una questione di sicurezza. La traiettoria dei prezzi al consumo, infatti, chiama gli investitori ad un aggiustamento di portafoglio, in tutte le sue componenti: azioni, reddito fisso, valute, materie prime. Ogni classe di attivo ha le sue implicazioni, come raccontano i quattro esperti interpellati dal L'Economia negli articoli della pagina a fianco, ciascuno corredato da una lista dei cinque fondi che hanno ottenuto i migliori risultati a 12 mesi in quella categoria, secondo un'indagine di Fida. A rimettere in moto le aspettative sull'inflazione, rimaste depresse per anni, è stata l'inedita convergenza tra politica monetaria e fiscale, la cui spinta espansiva — necessaria per curare le ferite della pandemia — potrebbe farsi sentire vigorosamente con la progressiva riapertura dell'economia nei mesi a venire. II Congresso americano ha appena approvato un maxi-piano di aiuti da 1.900 miliardi di dollari, cui si aggiungono i 900 miliardi annunciati a dicembre. Un pacchetto complessivo che «vale il 15% del Pil americano — calcola Emilio Franco, ad di Mediobanca SGR —. Numeri che, in un contesto di condizioni finanziarie molto accomodanti, con un mercato del lavoro che migliora sensibilmente e un eccesso di risparmio precauzionale accumulato nei bilanci delle famiglie e delle imprese, pronto a essere rimesso in circolazione di pari passo con la progressiva uscita dalla pandemia, per effetto della campagna vaccinale, proiettano la crescita Usa a ritmi del 7-8% nel 2021, come non si vedeva dagli anni Cinquanta». Non è un caso se la curva dei tassi americani si è sollevata, portando il decennale, in sette mesi, da 0,5% a 1,5%. Metà di questo rialzo si è consumato a partire da fine gennaio, con effetti negativi su tutti i segmenti del reddito fisso, le cui performance da inizio anno sono scese in territorio negativo, generando diverse turbolenze anche in Borsa. II pensiero di molti investitori, in queste ultime settimane, è andato al taper tantrum (traduzione: panico eccessivo) del 2013, quando Ben Bernanke, alla guida della Federal Reserve, annunciò l'inizio della riduzione dello stimolo monetario, innescando uno scatto dei tassi Usa, con conseguenze cosi pesanti sui mercati, da costringerlo a una clamorosa marcia indietro. «Non ci aspettiamo nulla di simile, in questa fase — rassicura Flavio Carpenzano, senior investment strategist per il reddito fisso di AllianceBernstein —. Uno scenario estremo di questo tipo alimenterebbe un restringimento delle condizioni finanziarie, forzando la Fed a intervenire nuovamente in chiave espansiva». Dopo l'aggiustamento, dicono gli analisti, c'è spazio per un consolidamento nelle prossime settimane. «Poi ci sarà una certa volatilità: tra la fine del secondo trimestre e quello successivo, l'inflazione tornerà ad aumentare, anche per un fattore tecnico. Assisteremo a un aumento della domanda che non troverà immediata soddisfazione nell'offerta, generando una pressione temporanea sui prezzi, destinata poi a rientrare. Verso fine anno possiamo collocare il decennale Usa attorno al 2%. Salirà al 2,25 l'anno prossimo», calcola Carpenzano. L'impatto sugli investimenti dipenderà dalla velocità del movimento, oltre che dalla sua intensità. La Federal Reserve, d'altro canto, ha ribadito che in questa fase è disposta a tollerare un momentaneo surriscaldamento dell'inflazione oltre l'obiettivo del 2%. Intanto il mercato sembra essersi portato un po' avanti: i tassi di riferimento negli Usa non saranno toccati per 2021 e molto probabilmente anche il 2022. Ma il gioco di equilibrio di Jerome Powell non sarà facile. "A mitigare gli effetti della pressione sui salari interverranno due fattori: l'eccesso di offerta nel mercato del lavoro, che deve essere progressivamente riassorbita, e un robusto aumento della produttività nel corso del 2021" annota Franco. In ogni caso, i tassi americani ed europei non continueranno a ballare insieme. «La correlazione avrà vita breve — rileva Carpenzano —. Prevedo una divergenza tra inflazione americana ed europea. I tassi in Europa non andranno da nessuna parte». Questo potrebbe tenere maggiormente al riparo il reddito fisso del Vecchio Continente. Ma per adesso è meglio evitare di togliersi il casco. La Cina marcia già a velocità sostenuta, ma ora vuole crescere in modo equilibrato. Gli Stati Uniti non sembrano condividere quella preoccupazione, nonostante l'accelerazione della ripresa. «Ci aspettiamo una dinamica degli utili estremamente positiva nelle componenti più cicliche, che sono più a buon mercato — osserva Emilio Franco, AD di Mediobanca SGR —. È il momento di banche, commodity energetiche e industriali. Il settore tech è destinato a sottoperformare», prevede Franco. Attenzione: non ci sarà un crash della tecnologia. «Wall Street troverà nuovi massimi, ma sarà trainata da un mix settoriale diverso da quello dominante negli ultimi 12 mesi. Assisteremo a una riduzione del divario valutativo maturato». Non stupisce che da inizio anno l'indice Russell 2000, il paniere delle società statunitensi piccole e medie, abbia resto oltre quattro volte l'SeP5oo, dominato da Facebook, Amazon, Apple, Alphabet (Google) e Microsoft. Per ragioni analoghe, «Europa e Giappone sono favoriti, in virtù di un orientamento più ciclico. Anche Piazza Affari dovrebbe fare bene», prevede Franco. Intanto la manifattura gode di ottima salute. «I servizi soffrono, ma ci sono prospettive di un recupero rigoglioso nella seconda metà dell'anno», annota. E gli emergenti? Cinque titoli da soli fanno il 40% dell'Msci China, con una forte impronta legata a tech, ecommerce e nuovi media: Tencent (15,3%), Alibaba (14%), Meituan (5%), Jd.com e Baidu (2,59 l'uno). «Ma la Cina rimane una storia d'investimento di lungo termine — ricorda Franco. — Eventuali fasi di debolezza sono da comprare». L'inflazione è nemica del reddito fisso. Specialmente se le aspettative salgono rapidamente, trascinando verso l'alto i tassi: rendimenti in rialzo significano prezzi in calo per chi hai bond. «In un contesto di reflazione bisogna ruotare il portafoglio verso il credito societario, riducendo i titoli di Stato lunghi», premette Flavio Carpenzano, strategist fixed income di AllianceBernstein. «La parte più interessante della curva Usa è quella tra 5 e 10 anni: una scadenza intermedia può tornare utile in fasi di aumento dell'avversione al rischio sui mercati. E d'altra parte la Fed mantiene ben saldo il controllo sulla parte breve: i tassi non saliranno fino al 2023». Al tempo stesso una curva ben inclinata aiuta i gestori a catturare il rendimento sfruttando l'accorciamento della durata residua. «Rimane interesse per il debito italiano, che offre un buon ritorno in termini relativi, con la prospettiva di un miglioramento della situazione politica dopo l'arrivo di Draghi», argomenta il gestore. I governativi agganciati all'inflazione sembrerebbero la risposta più ovvia al bisogno di protezione. «Ma i bond inflation linked già incorporano aspettative di prezzi al consumo in rialzo — rileva Carpenzano —. Meglio guardare alle obbligazioni cartolarizzate legate ai mutui ipotecari Usa: titoli variabili esposti al real estate, con una copertura contro l'inflazione». C'è spazio anche per bond emergenti, e per l'high yield euro: «II debito speculativo europeo ha un rendimento simile a quello Usa, ma una qualità più elevata. E può contare sul supporto della Bce». Appena ribadito. Le materie prime sono la benzina che alimenta il motore della manifattura e dei settori ciclici. Rappresentano quindi un bacino naturale cui attingere in fasi di accelerazione della ripresa. Non a caso il prezzo del petrolio è salito di circa il 30% da inizio anno, raddoppiando rispetto a un anno fa. «Se si conferma l'ipotesi di una crescita economica robusta, sostenuta dai progressi della campagna vaccinale, allora le materie prime energetiche potrebbero salire di un altro 10%— calcola Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki —. La domanda si sta vivacizzando, mentre l'offerta è limitata dall'accordo raggiunto lo scorso anno tra Opec e Russia peri tagli alla produzione». Al tempo stesso, l'enfasi sulla transizione energetica che accompagna i maxi stimoli fiscali potrebbe favorire le commodity collegate: «prima di tutto, rame — osserva Calef — essenziale per rafforzare le reti e i circuiti dei veicoli elettrici. Ma anche le materie prime per le batterie, relativamente rare e concentrate in alcune aree, come il litio (Cile, Argentina, Australia) e il cobalto (Australia, Congo, Cuba). Senza dimenticare le terre rare:17 elementi chimici della tavola periodica, che a dire il vero non hanno problemi di scarsità ma costi di estrazione molto elevati. La Cina detiene da sola il 40% delle riserve». Come investire sulle commodity? «Nel caso del petrolio, con strumenti a replica passiva, come gli Etc. Negli altri casi — precisa Calef — meglio i titoli azionari delle società coinvolte, affidandosi a un gestore professionale specializzato». Dopo un annodi graduale indebolimento, il dollaro ha in parte rialzato la testa. Si allarga il differenziale di crescita tra gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato: giustificherebbe, forse, un apprezzamento del biglietto verde. «Ma non bisogna sottovalutare il deficit gemello — disavanzo pubblico e della bilancia commerciale — che preme in direzione contraria, verso una svalutazione: un problema cresciuto nell'ultimo anno», rileva Roberto Tronci, a capo degli investimenti di Alvarium Investments. «Serve una domanda di dollari enorme per tappare il buco del bilancio federale e quello delle partite correnti. Questo avviene, per altro, nel momento in cui la Cina, a sua volta, sta attraendo capitali come mai prima». Secondo l'esperto, il cambio euro dollaro resterà relativamente stabile, oscillando tra 1,15 e 1,25. Un'idea per cavalcare la reflazione tramite il canale valutario, può essere quella di puntare sulle divise agganciate alle materie prime, come il rublo russo o il peso messicano: «quest'ultimo avanza al traino della locomotiva americana, come il dollaro canadese. La divisa australiana, a sua volta, è spinta dalla crescita di Pechino. Meglio lasciar perdere il real brasiliano, per via della disastrosa gestione della pandemia», avverte Tronci. C'è un'altra valuta che, secondo alcuni, potrebbe offrire una buona copertura anti-inflattiva: il Bitcoin. Il fatto che l'offerta sia rigida e governata da un algoritmo, e non da una banca centrale, più o meno libera di stampare moneta all'occorrenza «ha contribuito ad attirare l'interesse da parte degli investitori, in questa fase», conclude Tronci.

Articolo di Pieremilio Gadda, L'Economia del Corriere della Sera, 15 marzo 2021